Mungibeddu

1947

MUNGIBEDDU

 

01. Mungibeddu

Catania, 4 luglio 1947

« Caro dott. Calì
... non è il caso di smettere: alcuni sonetti mi sono piaciuti; ed è d'altra parte superfluo dare consigli a chi sa come lei che l'arte "è turmentu di cori e di pinzeri" (è questo un suo bel verso nel sonetto "Empeducli"). Solo mi permetto di esortarla ad evitare frasi e parole della lingua letteraria e punto dialettali, come "celu d'opali", in "estasi rapita" e simili. I motivi del suo canto, per dir così, non sono mai futili e questo mi piace; ma c'è un pericolo: che il dialetto per certi argomenti possa sembrare più voluto che spontaneo e troppo riveli in qualche caso una mente educata alla poesia più elevata della nostra bellissima lingua italiana. Quando lei scrive: "oh comu sunu vani li me canti sutta l'immensità di lu crateri", si sente subito l'uomo colto, il letterato e si deplora che egli motifichi se stesso, ossia la sua ispirazione, col dialetto. Ciò che io penso del dialetto in genere glielo dirò a voce se qualche volta ci incontreremo. Ad ogni modo lei di quando in quando ha versi veramente belli e quindi non è il caso, ripeto, di smettere. Ma faccia sempre prevalere il sentimento al ragionamento. Mi abbia con molti ringraziamenti e saluti il suo

prof. Francesco Guglielmino

 

Mungibeddu, pubblicato sotto lo pseudonimo di Lino Tasca, è una raccolta di sonetti, per la precisione trentadue, in dialetto siciliano; sulla copertina porta stampato il simbolo del MIS: la testa di donna con tre gambe. I contenuti dei sonetti, eccetto qualcuno, sono politici; in essi Calì esprime tutto il travaglio di separatista innamorato della sua terra.
Il 1947 è l'anno del terzo congresso di Taormina del MIS, l'anno in cui il destino del movimento appare segnato; dopo due anni di intensa attività, Calì sente approssimarsi la fine di quel tentativo, l'impossibilità di realizzare il suo sogno, e allora canta, scrive versi contro gli « unitari », se la prende anche con Roma, simbolo del potere centrale.
Alcuni sonetti celebrano personaggi mitici dell'antica Trinacria, altri raccontano la nascita dell'isola da una gemma della corona del creatore, altri ancora parlano del cratere dell'Etna, marcando il giallo dello zolfo e il rosso della fiamma, colori ufficiali del MIS. Non mancano gli « intermezzi » arcadici dedicati al suo amore torinese, Natalia, che di lì a qualche tempo diventerà la signora Calì e per la quale confessa di aver tradito la Sicilia per l'Italia.
Francesco Guglielmino si accorge quindi che il dialetto di quei sonetti è più voluto che spontaneo ma, da buon professore, nota subito l'uomo colto, il letterato educato alla poesia italiana, e lo incoraggia. L'uso del dialetto d'altronde è d'obbligo per ogni buon separatista che voglia elevarlo a dignità di lingua; e questo Guglielmino non lo può capire. Cali non può scrivere poesie in italiano, giacché si serve del dialetto per compiere una operazione culturale consona al progetto politico che porta avanti in quegli anni... (continua)

.: la notti longa :.

 

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